Riflessioni sulla Mission dello Studio nel giorno del suo 25° anniversario

Il venticinquesimo anno di attività dello Studio Niccoli (1989-2014) celebra una soddisfacente maturazione delle aree di ricerca e sistematizzazione che ne hanno caratterizzato la partenza alla fine degli anni ‘80 e che attualmente prendono forma, una, quella al momento possibile, nei 12 Modelli registrati. Maturazione che proseguirà, mi auguro, con la stessa intensità e produttività per almeno altri venticinque anni. Ciò che maggiormente mi crea il dubbio che il tempo non sia poi così realmente passato dipende dal fatto che la ricerca delle origini è ancora la stessa di quella attuale. Certo, con un consolidato metodologico che la rende molto più snella ed efficace, ma sostanzialmente invariata nella sua filosofia d’approccio, sempre più tesa a sostenere la crescita competenziale e metacompetenziale come primario iter personale di sviluppo della propria coscienza soggettiva e professionale.

In quegli anni si è cominciata a diffondere una prassi nella formazione manageriale, oggi alla sua acmé, orientata all’insegnamento della procedura, piuttosto che far crescere abilità da cui potesse poi scaturire autonomamente. Pensiero che riflette l’impoverimento del valore del sapere nella cultura contemporanea, e fenomeno che in sociologia additiamo da tempo per l’effetto letale che comporta nel lungo periodo. La formazione già da allora diventava sempre più semplificata, spettacolare, d’effetto, suggestiva e tesa ad imbonire verso il tipo di pratica vendibile, riproducibile da altri perché facilmente imparabile da chi avesse poi dovuto venderla nelle aule. La stessa letteratura manageriale sembrava rivolgersi a persone refrattarie all’approfondimento, alla lettura ed allo studio, un target da fascinare prima ancora di professionisti da stimolare allo sviluppo. Da questa visione liceizzata, eccessivamente semplificata quindi, adattata ed improduttiva, irresponsabile rispetto a se stessa ed al guasto che comporta, ottusa nel ridurre all’osso l’idea di manager, ci siamo sempre difesi ferocemente, come ci è stato ampiamente riconosciuto. Il tempo ha poi confermato quanto, la visione che tutt’oggi osteggiamo, vissuta d’accatto, peraltro, e proveniente da culture troppo differenti dalla nostra per essere sdoganata di default, non fosse poi così produttiva come si volesse far credere. Poteva lì per lì entusiasmare qualcuno, ma poi non si rendeva, già nel medio periodo, credibile e desiderabile, non produceva effetti osservabili come miglioramento delle performance individuali e gruppali. Non funzionava allora e continua a non funzionare oggi.

Gli interventi delle origini, mi riferisco ai primi incarichi dello Studio Niccoli dall’inizio degli anni ’90, erano rivolti a risolvere questioni che, se pur affrontate da professionisti preparati e competenti, da cui ho imparato e a cui devo sempre qualcosa, non avevano però dato gli esiti desiderati. I primi lavori nascevano dalla ricerca quanti-qualitativa di cosa fosse stato fatto e che tipo di reazione avesse causato nelle persone e più in generale che impatto l’elaborato avesse comportato nell’organizzazione. La casualità di alcuni incarichi assunti in quel periodo, che avevano avuto come endorser chi nel campo dell’alta docenza aveva maturato l’esperienza accademica di una vita, ha favorito un tipo di approccio che nel tempo da necessità è diventato virtù; nel senso che, nel passa parola fra clienti, ha costituito una specializzazione: quella dell’intervento ex post. Successivo ad un risultato da migliorare. Successivo ad un altro che non aveva funzionato, insomma. Successivo a tanti e poco convincenti, talvolta.

Il fatto di avere una tensione spontanea verso la ricerca psicosociale, che nel tempo è poi diventato l’approccio etnometodologico all’analisi dei contesti organizzativi, ha fatto nascere quella che sarebbe via via diventata la mission osservabile; in mancanza d’altro, si afferma la prassi. Se all’inizio sembrava un vizio di partenza da cui emanciparsi, una iattura che dava un imprimatur da pillola del giorno dopo, oggi mi appare come la più grande opportunità mai avuta: lavorare per migliorare l’esistente partendo dal raccogliere un processo attivato da altri ex ante per analizzarne la complessità, gli esiti, i blind spot. Questo procedere, giocoforza, ha spinto al bisogno di conoscere, di capire a fondo, di confrontare, di sperimentare e di consolidare procedure come sintesi. Risultati a cui aggrapparsi, talvolta. Oasi in cui fermarsi per riposare, altrimenti. Questo è il senso della sistematizzazione a cui mi sono riferito in apertura. L’interesse che ho avvertito nell’ultimo triennio nel ricercare forme spontanee e date per scontate di comportamento legittimato dalla pratica, sia nelle formule produttive quanto in quelle limitanti, vere e proprie disecologie e psicopatologie sistemiche, ha consentito di profilare il management e il manager che ne deriva secondo l’evoluzione della networking analysis ed il ruolo della leadership che ne riassume il senso. Questa è la frontiera della ricerca attuale interna allo Studio Niccoli, spazio che si apre ad ombrello su tutte le funzioni che il management sta rinnovando, segnando una cesura con le forme fino ad oggi rappresentate, lanciando nel passato chiunque ne svaluti l’enorme portata. Il management sta ripensandosi ed è compito degli scienziati sociali renderne una forma osservabile e tradurla in modelli evolutivi applicabili per processi.

Pensando con la logica con cui sono stati prodotti i Modelli mi sento assolutamente sereno nell’affermare che sono ancora frutti acerbi, che hanno necessità di un continuo processo di accudimento che porti sempre di più a valorizzarne l’efficacia, l’unicità, l’identità.

Ognuna di queste pratiche strutturate restituisce una forma metodologica che ha disegnato una precisa filosofia d’approccio andragogico alla formazione ed alla consulenza. Non solo attività svolte nelle aree psicologico-sociali e applicate nella pratica, ma complessi esiti fenomenologici di una co-partecipazione al processo evolutivo dell’adulto che sperimenta l’apprendimento nel e dal proprio ambiente professionale. La mission delle origini allora, elaborare ed applicare pratiche esperienziali di crescita orientate all’evoluzione delle soggettività, e che prendessero le distanze dall’idea di ammaestrare il management al compito semplificando al massimo l’apporto culturale e massimizzandone il pragmatismo, è tutt’oggi davvero ancora così attuale da non essere toccabile. Direi con totale certezza che vada riconfermata, al momento continua ad essere inossidabile.

12 maggio 2014

Giuliano Niccoli